La separazione dalla parte del marito
Quando si affronta una separazione occorre avere lungimiranza e valutare preventivamente tutti gli effetti che da essa potranno scaturire. Ha importanza fondamentale, in tal senso, distinguere quali interessi dover tutelare e chi ne sia il portatore, ovvero se il marito o la moglie. Nel gioco delle parti, nella conflittualità del rapporto assume, infatti, rilievo fondamentale la disamina di ciascun aspetto della separazione in base alle due contrapposte prospettive. Diverso è, infatti, il trattamento che la legge riserva a ciascuno dei due coniugi e diversa dovrà essere la strategia difensiva da adottare a seconda che si difenda “lei” o si difenda “lui”.
Esaminiamo in questo breve articolo alcuni degli elementi su cui un uomo deve focalizzare la propria attenzione prima di intraprendere una separazione, così da poter operare le opportune valutazioni con l’ausilio del proprio avvocato di fiducia. La vastità delle problematiche che qui superficialmente trattiamo consente appena un accenno a ciascuna di esse: gli eventi e le circostanze delle vita sono ovviamente troppo eterogenee per essere tipizzate e schematizzate, secondo qual si voglia criterio. Solo una consulenza specifica, potrà consentire all’avvocato di affrontare concretamente il caso e di indirizzare al meglio il proprio assistito.
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I figli
Triste, ma vero: quando ci sono (e soprattutto se sono in tenera età) i figli sono la prima leva di ricatto che un uomo subisce. Il terrore di ciascun padre, alla vigilia di una separazione, è quello di vedersi portar via i figli. È quasi inevitabile, salvo casi eccezionali, che i figli siano affidati alla madre, ma ciò non significa che il padre non possa e non debba preservare con essi un rapporto costante, incidendo concretamente sulla loro crescita, la loro educazione e su ogni scelta di vita. Secondo le ultime evoluzioni normative si parla a tale proposito di “affidamento condiviso”. Ciò significa che ciascun genitore ha diritto a conservare l’esercizio della potestà, cosicché le decisioni attinenti alla vita quotidiana e alla ordinaria amministrazione potranno essere assunte da ciascuno disgiuntamente, mentre quelle di maggiore interesse dovranno essere assunte dai genitori in accordo tra loro. Ciascun genitore potrà ad esempio, secondo il comune buon senso, valutare se per un giorno mandare o meno il figlio a scuola, ma entrambi di comune accordo dovranno decidere a quale scuola mandarlo. Ad oggi, la legge prevede che l’affidamento condiviso costituisca la regola legale preferenziale, da adottare ogni volta che sia possibile.
In altri termini, se ti stai per separare, perderai probabilmente il diritto di poter convivere con i tuoi figli, ma non dovrai subire ricatti, non dovrai sentirti semplice spettatore della loro vita, ma potrai e dovrai concretamente incidere sulla loro crescita, la loro educazione e formazione.
A prescindere da ogni volontario proposito di conflittualità, se un accordo non è ben redatto, esso è inevitabilmente fonte di fraintendimenti, differenti interpretazioni e, quindi, litigi. La donna, la madre dei tuoi figli, sarà sempre in una posizione di vantaggio, litigare con lei su questo terreno di scontro non sarà mai una scelta intelligente. L’esperienza professionale insegna che è sempre preferibile disciplinare nelle condizioni di separazione ogni aspetto attinente al rapporto del padre con i figli, in quali giorni potrà incontrarli, in quali orari, con chi ad anni alterni trascorreranno le festività, le villeggiature e i compleanni e i fine settimana. Più elementi saranno disciplinati e più diritti con certezza un padre potrà affermare. Viceversa, tutto quel che non è nero su bianco potrà essere usato contro di te.
La casa
Regola generale vuole che, insieme ai figli, il padre perda anche la casa, malgrado sia eventualmente di sua proprietà. La casa viene infatti generalmente assegnata al coniuge presso cui i figli vivranno stabilmente (siano essi minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti), affinché minore sia per loro il trauma derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e non siano costretti anche a subire un drastico sradicamento dall’habitat nel quale sono cresciuti. Il nobile intento (tale è) di garantire e tutelare il più possibile la prole, può generare conseguenze disastrose per il coniuge non affidatario (quindi generalmente per il padre, marito), sia sotto il punto di vista psicologico, che finanziario. Può significare in altri termini vedersi “sbattuti fuori di casa” dall’oggi al domani, con l’onere anche economico di doversi procurare un altro tetto sotto cui dormire, continuando allo stesso tempo a sostenere le spese di quella che era la casa coniugale.
Urgono, quindi, due precisazioni.
- La prima: nessuno dei due coniugi può obbligare l’altro ad abbandonare la casa. Salvo ragioni eccezionali, fino a che non sarà intervenuta la sentenza di un giudice permane il diritto alla convivenza. Se ad uno dei due non sta bene, può abbandonare il tetto coniugale, ma non pretendere di mettere l’altro alla porta.
- La seconda: l’assegnazione della casa incide (positivamente e negativamente) sulle finanze di ciascuno dei coniugi e di tanto si dovrà tener conto nella determinazione degli assegni (di cui parleremo qualche rigo più sotto).
Tuttavia, spesso la domanda che si pone all’avvocato è quella diametralmente opposta: posso abbandonare la mia famiglia? Quando la convivenza diviene insopportabile o quando si è intrapresa una nuova relazione, la “fuga” pura e semplice pare essere la soluzione più conveniente, o quella forse meno traumatica. La risposta è no. L’abbandono del tetto coniugale può facilmente rappresentare se attribuito ad un uomo motivo di addebito della separazione. Anche sotto questo profilo, vi è quindi, una evidente discriminazione tra il trattamento generalmente riservato all’uomo e quello riservato alla donna. Nel caso in cui sia, infatti la moglie ad abbandonare il tetto coniugale, anche in virtù del più intimo legame che ella intrattiene con i figli, sarà compito più semplice per il difensore giustificare tale comportamento con sopravvenute ragioni relative alla propria sicurezza e incolumità personale, ad esempio per porsi al riparo da un marito aggressivo, violento o per timore di qualsiasi altra ritorsione personale.
Un’ipotesi problematica e che si verifica spesso attiene al caso in cui l’appartamento adibito a casa coniugale sia di proprietà dei genitori di uno dei due coniugi. La domanda che si pone spesso è questa “hanno diritto i suoceri ad ottenere la restituzione dell’immobile in caso di separazione, oppure ugualmente la casa dovrà restare nella disponibilità della nuora che potrà continuare a viverci pur dopo la separazione?”. Vengono in effetti in conflitto due differenti istituti giuridici: il comodato precario (in ragione del quale il comodante ha diritto a richiedere in qualsiasi momento la restituzione del bene) e l’assegnazione dell’immobile quale abitazione familiare, che ne rende vincolata la destinazione nell’interesse della prole. Quale dei due istituti prevale sull’altro? Potranno i suoceri ottenere la restituzione della casa? La giurisprudenza non si è espressa in modo coerente nel corso del tempo e una risposta certa non è possibile darla. Tuttavia, se in origine l’orientamento prevalente dal 2004 in poi era tendenzialmente più favorevole all’affermazione del diritto del comodante alla restituzione dell’immobile, negli ultimi tempi la rotta pare invertirsi e la giurisprudenza è sempre più incline a ritenere che la destinazione dell’immobile a casa coniugale ne vincoli la possibilità d restituzione, fino a che esso non abbia terminato di assolvere a tale funzione.
Mantenimento e alimenti
Spesso si usano in modo indiscriminato questi due termini, ignorando che mantenimento e alimenti sono due istituti giuridici assolutamente differenti.
L’obbligo di corrispondere gli alimenti consiste nell’assistenza materiale che il coniuge più benestante è tenuto a corrispondere all’altro, economicamente non autosufficiente, affinché possa far fronte ai propri primari bisogni per condurre una vita decorosa.
Viceversa, l’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento ha una portata più estesa, poiché consiste nel dovere di assicurare al coniuge, economicamente meno abbiente, un tenore di vita analogo a quello di cui godeva durante la vita matrimoniale.
Proprio in ragione di tale differenza, l’obbligo di corrispondere gli alimenti prescinde da ogni torto o ragione in merito alle cause che hanno portato alla separazione. Al contrario, ha diritto di beneficiare del mantenimento solo il coniuge a cui non sia stata addebitata la separazione.
Tornando, quindi, ad occuparci delle accortezze che il marito – ovvero il suo avvocato – dovrà adottare nel disporre la propria difesa (salvo il caso, generalmente più raro, in cui non sia la donna la parte economicamente più forte del rapporto), è bene tenere presente che proprio l’uomo dovrà aver interesse ad ottenere una pronuncia di separazione con addebito. La separazione potrà, infatti, non essere addebitata ad alcuno dei due coniugi (cosa che avviene quando ci si separa consensualmente) oppure potrà essere addebitata ad uno dei due quando l’altro ne faccia richiesta e dimostri la piena responsabilità della “controparte” in ordine alle cause che hanno portato all’interruzione dell’affectio coniugalis.
Ottenere l’addebito della separazione (ove ve ne siano i presupposti) a carico della coniuge consente di non doverle corrispondere il mantenimento. Anche se una separazione con richiesta di addebito può essere emotivamente più spiacevole da affrontare, potrà valerne ovviamente la pena se ciò consentirà di risparmiare centinaia e centinaia di euro ogni mese. È anche per questo che, se opportunamente consigliata, la coniuge potrà apparire più conciliante, meno disposta ad ottenere una separazione con addebito e a scavare tra le cause che hanno portato alla fine del matrimonio: semplicemente non ne ha alcun materiale interesse, poichè potrà percepire il mantenimento, pur senza che la separazione venga addebitata ad alcuno dei due. Se la coniuge desidera una separazione “pacifica” e consensuale che rinunci alla richiesta di mantenimento; viceversa, ben venga una ricerca nel merito delle cause che hanno reso non più proseguibile la vita matrimoniale.