Comunione legale

comunione legale dei beni

Si para spesso a sproposito di comunione legale o separazione, immaginando che affidarsi ad una scelta anziché all’altra possa semplificare i rapporti patrimoniali tra i coniugi in costanza di matrimonio o nel caso di scioglimento dell’unione familiare.

In realtà nessuna scelta è migliore dell’altra e resta sempre molto fitta la tela di rapporti che anche economicamente lega un coniuge all’altro, sia prima che dopo il matrimonio. Come noto, la scelta relativa al regime patrimoniale da adottare è contestuale alla nascita stessa del rapporto coniugale e le opzioni in merito sono due:

– la comunione dei beni

– la separazione dei beni

Per maggior precisione, è opportuno chiarire che qualora i coniugi non richiedano espressamente la separazione dei beni, il regime che a loro si applicherà, in difetto appunto di una diversa scelta, sarà quello della comunione legale dei beni.

Beni oggetto della comunione legale

Il regime patrimoniale adottato (comunione o separazione), regolerà l’appartenenza e l’amministrazione di tutti i beni i beni acquistati dopo il matrimonio, ma solo di essi. Ciò significa, in altri termini, che resteranno comunque esclusi dalla comunione legale quei beni che già prima del matrimonio erano di proprietà del singolo coniuge. Nella pratica è evidente che, fatta  eccezione per i beni immobili e per i beni mobili registrati (automobili, natanti, ecc), sarà difficile in un malaugurato momento successivo riuscire a dimostrare a chi appartenesse un singolo bene prima del matrimonio.

Come già accennato, inoltre, cadranno in comunione legale i beni acquistati in costanza di matrimonio sia congiuntamente da entrambi i coniugi, sia disgiuntamente da ciascuno di essi (malgrado l’altro non fosse a conoscenza dell’acquisto o ne dissentisse). Ma non solo: ricadono, infatti, in comunione legale (se acquistati dopo il matrimonio) anche gli stessi beni mobili registrati o i beni immobili, malgrado essi risultino titolarmente intestati solo ad uno dei coniugi. Ad esempio, poniamo il caso che il marito, dopo aver contratto matrimonio, acquisti un automobile e la intesti esclusivamente a sé stesso, come successivamente risulterà dal certificato di proprietà registrato al PRA. L’auto in questione, giacché intestata solo al marito, sarà in realtà in comunione legale con la moglie.

È opportuno chiarire che non tutti i beni ricadono in comunione legale, poiché ce ne sono alcuni che, per espressa previsione di legge, sono esclusi da questo regime e restano di proprietà esclusiva del coniuge, anche malgrado siano stati acquistati in costanza di matrimonio.  Si tratta di un argomento che per maggiore chiarezza espositiva trattiamo separatamente in questa pagina.

La gestione dei beni in comunione

Il regime patrimoniale a cui sono sottoposti beni acquistati durante il matrimonio incide su due fattori: ovvero sulla proprietà dei beni stessi e sulla facoltà di gestirli.

Le problematiche inerenti la proprietà si imporranno evidentemente solo nel caso in cui i coniugi decidano di separarsi, per cui avranno interesse e necessità a distinguere quel che è di ciascuno di essi e quel che invece è in comunione. Più rilevanti sono invece le problematiche che attengono alla gestione dei beni oggetto della comunione legale, poiché esse si imporranno nella quotidianità della vita coniugale, disciplinando cosa ciascun coniuge può e non può fare dei beni comuni.

La regola generale che disciplina la questione è rinvenibile nell’art. 180 del Codice Civile, il quale distingue tra atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione:

– gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascun coniuge immediatamente e senza il preventivo consenso dell’altro;

– gli atti di straordinaria amministrazione possono essere compiuti solo congiuntamente da parte di entrambi i coniugi.

La distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione è già di per sé un tema che crea spesso difficoltà interpretative, in specifiche ipotesi in cui la linea di demarcazione è meno netta. Tuttavia, nella generalità dei casi, è semplice distinguere tra quelle attività che riguardano la gestione normale e quotidiana del bene (atti di ordinaria amministrazione) e quelle attività che viceversa si impongono eccezionalmente, potrebbero comportare conseguenze irreversibili e costi o oneri di rilievo (atti di straordinaria amministrazione). Per essere più concreti, rispetto all’appartamento adibito a casa familiare, oggetto di comunione legale, potrà, ad esempio, considerarsi atto di ordinaria amministrazione il pagamento delle normali spese di manutenzione per la riparazione degli impianti domestici; dovrà, viceversa, considerarsi atto di straordinaria amministrazione, la vendita o la concessione in locazione dell’immobile stesso.

I problemi sorgono nel caso in cui atti di straordinaria amministrazione siano compiuti da un coniuge senza il preventivo consenso dell’altro. Come già detto, tali atti “dovrebbero” essere compiuti solo congiuntamente da entrambi. Ma se accadesse il contrario? La legge deve in queste ipotesi contemperare due differenti esigenze, tra loro in conflitto. Da un alto, infatti, c’è da tutelare il coniuge il cui consenso non sia stato preventivamente richiesto; dall’altro lato, vi è da garantire certezza ai rapporti e agli atti giuridici in cui potrebbero essere coinvolti terzi soggetti. In casi del genere vi sono, quindi, ipoteticamente due soggetti entrambi meritevoli di tutela, ma portatori di interessi contrapposti: in coniuge ed il terzo. La soluzione adottata dal legislatore viene incontro a queste finalità e cerca di “non far torto a nessuno”. I contratti (intesi come atti di straordinaria amministrazione) conclusi da un coniuge senza il preventivo consenso dell’altro sono, infatti, validi, ma annullabili. In altri termini, l’accordo potrà considerarsi concluso e perfetto, ma allo stesso tempo è riconosciuta all’altro coniuge (ignaro ed eventualmente dissenziente) la facoltà entro un anno di richiederne l’annullamento. Esemplificando, qualora la moglie venda l’appartamento in comunione, senza che all’atto intervenga anche l’altro coniuge, questi potrà adire le vie legali affinché il contratto sia annullato e il bene ritorni così nell’alveo dei beni in comunione. Parimenti, qualora un coniuge si disfi di un bene mobile, l’altro potrà chiedere che il terzo lo restituisca.

Altra ipotesi problematica attiene al caso in cui marito e moglie siano in disaccordo circa l’opportunità di compiere un atto di straordinaria amministrazione. Anche in tale evenienza, vi sono diritti contrapposti: quello del coniuge che vorrebbe disporre del bene di cui è (com)proprietario e quello del coniuge che intende impedirglielo. Qualora non sia possibile trovare una soluzione consensuale, sarà necessario adire le vie legali, affinché sia affidato al giudice il compito di valutare quale interesse sia,  nel caso concreto, maggiormente meritevole di tutela. La decisione assunta dal giudice dovrà avere come criterio di riferimento l’interesse della famiglia, nell’ottica della stretta necessarietà di un atto dispositivo e non della sua opportunità, convenienza o dei vantaggi che ne potrebbero derivare. Ad esempio (auspicabilmente!) il giudice valuterà in senso positivo la richiesta di vendere un immobile in comunione, magari neanche adibito a casa familiare, qualora con il ricavato ci sia da far fronte a cure mediche di cui uno dei familiari sia in stato urgente necessità; viceversa, il giudice dovrebbe negare l’atto, quand’anche esso appaia in grado di produrre un profitto semplicemente fine a sé stesso.

Torna utile, a tal proposito, un’ultima considerazione finale relativa al particolare regime di comunione in cui si trovano i coniugi, per meglio comprendere l’istituto e la disciplina che ne regola il funzionamento. Un bene in regime di comunione legale tra coniugi è, infatti, sottoposto ad una regolamentazione differente rispetto a quella che si applica per i beni di cui più soggetti (non coniugi) siano comproprietari. In tale secondo caso, ciascun comproprietario potrebbe, infatti, liberamente disporre delle proprie quote e, ad esempio,vendere la propria parte del bene. Viceversa, a proposito della comunione legale tra coniugi si parla a giusta ragione i “comunione senza quote”, per il fatto stesso che entrambi i soggetti sono per così dire proprietari al cento per cento, come sei beni fossero contemporaneamente nella proprietà esclusiva di entrambi.

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